Una glicine rampicante
con il suo aroma conturbante
verso il cielo verso l’eterno
e noi qui rinchiusi in questo privato inferno
si arrampica sui balconi, sulle case di ringhiera
che hanno memoria della milano della Scighera
ne cantava il sior Svampa e anche lo Iannacci
e ora ospitano i panni di segregati poveracci
panni bianchi, come margherite in fiore
in verdi prati smeraldosi a tutte le ore
a differenza nostra che speranza non vediamo
ma solo un cancelletto che l’apertura ricorda invano
come una piazza ormai senza essenza
sempre ormai triste come una vuota credenza
ormai solo code, poveri cristi sempre affamati
sotto a verdi tende di alberi frastornati
Fra Martino suona le campane
suonale piano che mi svegli il cane
mentre nel cielo volano via
sogni e progetti in terza corsia
piccola casa di primo novecento
quante ne hai viste, forse ormai cento
vedi anche questa e volta la carta
che di epidemia questa è solo un altra
cento comignoli cento gnomi paffuti
si ergono retti si ergono forzuti
larghi cappelli di mattoni rossastri
sbuffando fumo su cieli salmastri
sento l’aspro l’odore dei pini
ma del vino sono vuoti i tini
come le chiese, Cristo è in pensione
e con la sa croce vola su Plutone
muri rampicanti, steli come arti
si abbracciano festosi come ingenui infanti
e mille fiori di rosa conditi
guardano questo mondo con occhi stupiti
guardano attoniti questo silenzio
sperando un futuro dolce come assenzio
come un giardino stile Babilonese
senza più ansie, prigioni e pretese.
Riccardo B.
06/07/2020